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Festeggiamenti, regali, riunioni familiari… è questo quello che sembra rappresentare il Natale per la cultura occidentale. Ma è anche un giorno di nascita per la religione cristiana, simbolo di maternità.
L’immagine del presepe si presenta con al centro il bambino appena nato, ai lati la madre il padre e, come cerchi concentrici intorno a loro, una serie di personaggi che partecipano a questo lieto evento. Ognuno porta qualcosa, un dono, quello che può. Ogni personaggio si fa carico di un “bisogno” del piccolo e dei genitori. A livello di comunità si realizzano la partecipazione, l’accoglienza, la condivisione.
Voglio approfittare di questo tema per approfondire un aspetto che ritengo trascurato da tanto tempo, che emerge solo nelle pagine di cronaca nelle sue conseguenze peggiori: quello della maternità.
Nella maternità, al di là degli eventi biologi e psicologici, natura e cultura s’intrecciano poiché più di qualsiasi altro evento essa rappresenta le fondamenta del sistema culturale. La maternità non è solo un’esperienza individuale, è un evento sociale, su di essa si formano e conformano i legami parentali.
Così accadeva fino a qualche decennio fa: la rete sociale e l’aiuto reciproco, l’accudimento, attraverso la costante presenza dei vicini, dei familiari, ed il sostegno della comunità per chi viveva questa esperienza era il poter fare affidamento “sull’altro”. La maternità era un evento sociale in tutte le sue fasi: gravidanza, parto e allattamento. Le donne si raccontavano, erano solidali, elaboravano i propri vissuti e condividevano relativizzando quelli più difficili perché comuni.
L’immagine della natività è bella, ma non più reale.
Oggi l’arrivo di un nuovo membro dell’umanità è un evento vissuto solo all’interno delle mura domestiche.
Rispetto alle generazioni che ci hanno preceduto, la condizione della madre è cambiata parallelamente alle trasformazioni subite dalla famiglia, che si è ridotta all’isolamento, racchiusa tra le pareti di casa dove ogni problema assume proporzioni insostenibili e senza confronto sociale.
Dall’isolamento sociale nasce la solitudine: non si può più condividere con le generazioni precedenti il proprio vissuto ed essere capite, accolte, perché “gli altri” sono lontani, spesso fisicamente, più spesso psicologicamente.
Poter ascoltare i racconti delle donne con i loro figli, amati ma anche ingombranti, rassicurava la neomamma. In questo secolo, anche le più “moderne” madri, sono purtroppo intrappolate nella competizione, dove l’Io occupa tutto lo spazio, e non ne lascia al tu. “Io avevo più latte” “io sapevo cosa fare”, “Io capivo subito di cosa aveva bisogno”, senza parlare del famoso “istinto materno”…
Attualmente, le donne sono sempre più sole quando si confrontano con quei vissuti, che sembrano fantasmi ma che influenzano il processo verso la maternità. In passato, la madre, le sorelle, la suocera, le vicine, le amiche con la loro presenza alleggerivano quelle sensazioni d’inadeguatezza, di sconforto, del cambiamento in atto.
L’emancipazione femminile ha portato a delle confusioni nella ricerca di autonomia e indipendenza: rinneghiamo il radicamento corporeo e inconsapevole della maternità con tutte le sue implicazioni.
La dicotomia risiede nel fatto che continuano ad essere presenti i miti: la donna depositaria dell’amore materno, e come tale portatrice dell’amore incondizionato, che presuppone l’annullamento del sé in funzione del figlio e l’abbandono di qualsiasi aspetto individuale che non sia in sintonia con le cure del proprio bambino.
Nell’immaginario collettivo, la maternità è un evento connotato sempre e solo in senso positivo, e la donna si trova spesso in difficoltà, un po’ a disagio nel rivelare le difficoltà, le preoccupazioni, i timori. Non riconoscendosi nelle aspettative altrui.
Questo evento non è sempre fatto di bei momenti, di vissuti di accoglienza innata che tutti vorremmo, ma a volte i momenti difficili possono prendere il sopravvento. Da sole è difficile affrontare l’aspetto dell’incomprensione dei propri stati d’animo, che possono essere di disorientamento, paura, vergogna.
“L’istinto materno? Dov’è? io mi sento impaurita, non all’altezza … forse non ce l’ho?”
Nella realtà, i disturbi emozionali transitori possono manifestarsi con un senso di “svuotamento”, tristezza e malinconia. La depressione post-partum è accompagnata da una serie di vissuti di inadeguatezza, d’incompetenza e disperazione, collera, ipersensibilità, ansia, vergogna, odio e trascuratezza verso se stesse e il bambino, disturbi di sonno e dell’appetito, calo del desiderio sessuale e pensieri suicidari (Raphael Leff 1991, Nonacs 2005).
La gravidanza, il parto, la maternità sono eventi fondamentali nel processo di maturazione della donna che vuole diventar e madre. La modificazione dello schema corporeo, i cambiamenti della propria femminilità, la ridefinizione delle posizioni all’interno del sistema familiare comportano una destrutturazione e ridefinizione del senso di identità. Può essere faticoso destreggiarsi nei diversi ruoli. Senza contare i vissuti ambivalenti nei confronti del piccolo, vivendo in modo difficile la relazione con lui, capirlo, sollevarlo dalle sue di angosce. La maggiore difficoltà sembra proprio essere essenzialmente la relazione e il senso di colpa per quei sentimenti che avevamo pensato estranei per questa esperienza.
Un ambiente facilitante e contenitivo delle ansie e delle preoccupazioni è necessario affinché il legame con il piccolo si stabilisca nel miglio modo possibile.
E’ necessaria una figura paterna partecipe e presente, in grado di accogliere i sentimenti materni e di proteggere la coppia madre- bambino. Il padre oggi ha un compito difficile: quello di proteggere la madre facendola sentire accolta, utilizzando il linguaggio affettivo oggi più di ieri, con conseguente sostegno alla coppia madre-bambino.
La solidarietà femminile, l’eredità delle donne che le hanno precedute, il loro destino di portatrici del il Primo atto creativo, quel sostegno forte nel passaggio da figlia a madre che rivoluziona mente e corpo, va tutelato e protetto più di ogni altra manifestazione umana. Perché è l’atto che ci avvicina di più alle origini del mondo.
[/vc_column_text][vc_separator][vc_column_text]Se ti ritrovi in una situazione simile a quella sopra descritta, se hai bisogno di un sostegno psicologico, sono disponibile ad aiutarti. Qui trovi tutti i miei recapiti.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]