[vc_row][vc_column][vc_column_text]”Così ad ogni nuova umiliazione io mi ritrovavo sempre più legata a lui. Inizialmente per amore, e perchè ero convinta di poterlo cambiare. Poi, con il tempo, per la paura delle sue continue minacce e percosse.
Ho vissuto e sopportato ogni giorno della mia vita, ormai da un anno, questa violenza fisica, psichica, economica e sessuale”.
Con queste parole, Carmen mi racconta la sua storia. In terapia.
Le relazioni violente si contraddistinguono per le dinamiche di abuso, di conflitto e rabbia che possono portare a comportamenti coercitivi sia fisici che psicologici nella coppia.
Avreste mai pensato che le relazioni più disfunzionali fossero in realtà le più stabili? Eppure, è così.
Perchè? Chi è che si innamora di una persona pericolosa?
Coloro che in passato hanno sofferto di carenze affettive.
Per riuscire a comprendere la dinamica delle relazioni violente ci viene in aiuto la teoria dell’Attaccamento (Bowlby 1988).
Alla nascita, ognuno di noi non riesce a tollerare la solitudine, né fisica né psicologica, ed anche se il mondo in cui nasciamo è fatto di pericolo e di paura, attiviamo una richiesta di accudimento e di protezione, anche quando la stessa figura di attaccamento familiare è fonte di minaccia.
Questa richiesta può portare alla formazione di legami particolarmente forti, dimostrando quanto una relazione violenta sia caratterizzata da un forte attaccamento delle vittime ai loro partner abusanti, nonostante il timore e la soggezione provati nei loro confronti.
É per questo che la violenza nei confronti delle donne viene molto spesso nascosta o ignorata.
Immaginiamo che quella prima relazione, madre-caregiver, sia composta da due individui in difficoltà. Le relazioni violente sono caratterizzate da una sorta di “mutuo soccorso“, dove le modalità dell’uno soddisfano le aspettative inconsapevoli dell’altro.
Le dinamiche di aggressione coinvolgono entrambi i protagonisti della coppia; nonostante possano sembrare relazioni disfunzionali, esse risultano funzionali per la storia affettiva del proprio passato, dove da una parte l’abusante è nella frustrazione di pretendere l’amore, dall’altra la vittima sente di non poter ricevere un trattamento migliore, o arriva addirittura ad incolparsi dell’abuso subìto.
“La paura che nessuno ci possa proteggere e il sospetto di essere abbandonati e rifiutati sono gli incubi dell’infanzia, ma anche i fantasmi della maturità” (Carotenuto, 2003).
Una delle molle principali delle relazioni violente è la gelosia, la quale spesso affonda le sue radici in antiche paure di abbandono, vissute da bambini quando i genitori erano assenti o quando la scena familiare era catturata dall’arrivo di un fratello.
La gelosia è sintomo di una bassa autostima. É una coazione a ripetere, poichè non ci si arrende mai nel sentire di non meritare l’esclusività del rapporto.
L’urgenza che percepiamo da bambini è quella di soddisfare subito i nostri bisogni: da qui, il senso di possedere subito l’oggetto di soddisfazione.
Crescendo, impariamo a procrastinare, a rinviare, ad aspettare a realizzare un progetto per raggiungere l’obiettivo, sino ad arrivare alla soddisfazione finale.
Da bambini, nell’attesa della soddisfazione, ci accontentiamo del ciuccio o della “copertina di Linus”, praticando la tolleranza al posto della frustrazione.
Quando però veniamo delusi nell’aspettativa, il nostro bisogno rimane in sospeso, e può restarci anche per degli anni.
Gli studi che hanno esaminato le caratteristiche delle vittime di abuso e dei loro abusanti hanno messo in evidenza come questi soggetti appartengano ad un modello di attaccamento specifico che le caratterizza.
Ricordo che gli stili di attaccamento vengono classificati in:
Attaccamento sicuro
Attaccamento insicuro evitante
Attaccamento insicuro ambivalente
Attaccamento disorganizzato
Coloro che nel proprio vissuto hanno l’esperienza di un attaccamento sicuro e un senso del Sè efficace e positivo, con molta probabilità non riuscirebbero a tollerare l’aggressione da parte di un partner, poichè nella loro storia affettiva si sono sentiti amati, visti, considerati e rispettati.
Le persone con un attaccamento insicuro evitante, che nel proprio vissuto hanno sviluppato un’alta capacità di autodifesa, con molta probabilità non riuscirebbero ad avere un investimento emotivo tale da farle rimanere con un partner che abusi di loro.
Invece, gli individui con attaccamento insicuro ambivalente mostrano un’accentuata dipendenza dal proprio partner. Nella relazione, si attiverebbero soprattutto la gelosia e la paura dell’abbandono, sfociando in episodi di rabbia e abuso (Murphy, Meyer e O’Leary 1994; Dutton 2006).
Questi sentimenti possono derivare da una mancata aspettativa nei confronti delle loro figure di riferimento iniziali; sono quindi persone che sono state costantemente esposte ad una profonda delusione.
Infine, chi mostra un attaccamento disorganizzato, ha avuto un ambiente familiare con punti di riferimento instabili, spesso persone affette da patologie psichiatriche o tossicodipendenti. Questa persona avrà quindi una vita affettiva molto complessa e inficiata da vissuti particolarmente destabilizzanti. Anche questa categoria può subire la forza dell’impotenza e della dipendenza, se non della rabbia, e può ricreare le stesse dinamiche esperite.
Le vittime di abusi riportano spesso la percezione di un senso d’impotenza che non gli permette di cambiare la situazione; ciò dipende dalla dipendenza e dall’ansia della separazione, emozioni che possono rendere difficile l’allontanamento dalla relazione.
Il senso di impotenza è lo stesso che percepivano da bambine quando, effettivamente, poco potevano nei confronti dei loro genitori. Spesso nella loro infanzia, pur di essere viste, le vittime provocavano il genitore per attirare la sua attenzione, facendo i capricci e inducendolo a reagire. Se al posto di uno sguardo o di una carezza arrivava uno schiaffo, andava bene lo stesso, pur di sentire di esistere. Queste persone possono anche arrivare a pensare che le violenze subite siano giustificate, possono sentire di non meritare un trattamento rispettoso poichè le loro relazioni affettive primarie hanno rimandato loro questa immagine, quella di “non amabile“. Oltretutto, tendono a dare credito ai comportamenti di dispiacere e pentimento dell’abusante.
Dall’altro versante, la reazione di rabbia della persona violenta o abusante è paragonabile alla reazione del bambino che per richiamare o mantenere il contatto con la figura di attaccamento mette in atto tutta una serie di comportamenti, come ad esempio il piangere e l’aggrapparsi per ottenere la vicinanza del caregiver.
Queste persone hanno una bassa autostima di sé stesse, si percepiscono come “non amabili” o “non rispettabili” o “non considerevoli” di attenzioni e amore. É per questo che l’abusante mette in atto costantemente delle prove nei confronti del partner, per un bisogno costante di riconoscimento di potere, di devozione, alzando sempre di più il tiro. L’abusante non può tollerare di percepire una distanza psichica da parte del partner, poichè proprio quella è la ferita aperta: non sentirsi importanti per l’altro.
In questo caso, le richieste di attenzione vengono fatte attraverso violenze psichiche e fisiche pur di avere quel posto nella testa dell’altro. Fino ad arrivare a pensare che, se non è possibile avere l’altro totalmente a disposizione sia meglio la morte, suggellando con il nulla la fine di un amore. Per l’abusante è più tollerabile porre fine alla vita, dell’uno o di entrambi, spesso purtroppo anche dei figli.
É stato suggerito (Kobak, Ruckkdechel e Hazan 1994) che le manifestazioni di rabbia, le accuse e i rimproveri reciproci possono essere visti come espressioni distorte di emozioni molto forti relative all’attaccamento.
Ne risulta che nei rapporti violenti vi sia più egoismo che amore; che l’amore cui si fa riferimento sia un amore mancato all’inizio della vita.
La gelosia andrebbe resa consapevole, quindi compresa come una propria ferita narcisistica che non può essere curata da un altro individuo che non ne ha responsabilità.
Nel 2017 sono stati commessi 120 femminicidi. Nei primi tre mesi del 2018, sono aumentati del 30%. IL 90% avviene per mano di coniugi, o di ex partner.
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